di Alberto Sciortino, ARCS – Il 3 marzo scorso è stata una data importante per il progetto « Selma » che ARCS conduce a Ben Arous con il sostegno dell’Agenzia Italiana di Cooperazione. Quel giorno infatti ha iniziato a funzionare la rete di irrigazione goccia a goccia che copre due dei tredici ettari del terreno del Centro di Formazione di Chebedda e al contempo sono stati avviati i lavori di ristrutturazione degli edifici del Centro stesso. Tra tre mesi – tale é la durata prevista di questi lavori – si potrà passare all’installazione delle attrezzature: sia quelle delle sale di formazione, sia quelle per la trasformazione dei prodotti.
L’équipe del progetto, anche con la consulenza tecnica del partner TAMAT, sta già acquisendo gli elementi tecnici e commerciali necessari per scegliere i prodotti principali su cui puntare. Parte del terreno – quella coltivata “in secco” – è già stata infatti seminata e l’avena, l’orzo e il favino hanno già creato una distesa verde, che contrasta fortemente con l’aspetto arido e abbandonato che questo terreno aveva fino a poco tempo fa. Inoltre sono state installate le due grandi serre per le produzioni orticole e l’area adesso irrigata è già piantata ad aglio, cipolle e finocchio; l’oliveto esistente sta ricevendo le cure che non aveva da tempo, con il diserbo, la potatura e presto un altro ramo della rete di irrigazione. Si stanno anche acquisendo i preventivi per l’impianto del sistema di alimentazione solare e per il rinnovo delle attrezzature necessarie all’allevamento di polli, quaglie e conigli, visto che la parte della struttura destinata a quest’attività sarà quella che per prima vedrà terminare i lavori di sistemazione. Tra l’altro, con una novità: l’allevamento dei polli sarà trasformato nella concezione, divenendo a tutti gli effetti allevamento a terra, nel quale gli animali potranno razzolare all’aperto, in una nuova porzione di uliveto in corso di impianto. Le nuove produzioni vogliono infatti essere a tutti gli effetti agro ecologiche, puntando sulla qualità piuttosti che sulle quantità prodotte.
Tutte queste attività sono propedeutiche all’avvio delle fasi di formazione e sostegno alla microimpresa di donne e giovani: quelle che oggi sono le filiere di produzione in corso di organizzazione presso il Centro, infatti, non solo sosterranno il funzionamento del Centro stesso, ma costituiranno la base delle formazioni per la diffusione di imprese agro ecologiche nella regione e per la sensibilizzazione all’alimentazione sana, veri obiettivi del progetto.
Da alcuni mesi, grazie alla stretta collaborazione a distanza tra l’associazione partner italiana Le Nove e l’Union National de la Femme Tunisienne, che ha in mano la gestione del Centro, si é avviata anche la formazione delle formatrici che a breve inizieranno un’altra attività importante: la sensibilizzazione sulla giusta ripartizione dei compiti familiari e casalinghi, rivolta agli utenti del Centro sia uomini che donne, fondamentale per favorire la partecipazione delle donne alle stesse attività di progetto.
Proprio in questi giorni, le autorità tunisine hanno annunciato un’allentamento delle restrizioni (peraltro – bisogna dirlo – scarsamente rispettate dalla popolazione), con limitazione del coprifuoco a poche ore notturne, la riapertura serale dei caffé e dei ristoranti e l’eliminazione del divieto di spostamenti tra le regioni. L’emergenza é quindi finita? In realtà no: il numero di casi e di vittime, per quanto sempre limitato rispetto ad altri paesi, continua a destare preoccupazione e l’impressione é che le autorità abbiano tenuto conto, più che della capacità di risposta del sistema sanitario, delle necessità dell’economia, che ha subito pesanti contraccolpi dalla pandemia (inutile dirlo, risentiti soprattutto dalle fasce più deboli e dalle attività informali).
La situazione economica del Paese resta grave e non sembra che la politica nazionale, persa nelle diatribe dell’interminabile scontro tra le più alte cariche del paese (Presidente della Repubblica, del Governo e del Parlamento), sia in grado di apportare risposte. Risposte che, in mancanza di scelte politiche, indica invece a gran voce ancora una volta il Fondo Monetario Internazionale, una delle istituzioni che da decenni costringe le istituzioni nazionali dentro strette gabbie dettate dall’indebitamento estero.
Ancora oggi, in questa situazione di crisi profonda, il FMI torna a chiedere radicali quanto generiche “riforme” nelle quali le uniche misure dette a chiare lettere sono la “riduzione della massa salariale”, cioè il taglio degli impiegati pubblici, che in Tunisia rappresentano una dei pochi polmoni sicuri di reddito della popolazione, e la riduzione del deficit dello Stato, puntando come sempre il dito sui trasferimenti sociali e i sussidi al consumo delle fasce povere. Dopo decenni di fallimenti di queste politiche di tagli monodirezionali sperimentati in decine di paesei, il FMI non perde né il pelo né il vizio, a quanto pare.








