La quaresima

di Pierre Yelen – Chiusa la valigia, chiusa la porta di casa. Salgo sulla macchina per avviarmi all’aeroporto.

Squilla il telefono; una signorina, con accento marcato, m’informa che il volo per Bamako è annullato: problemi tecnici. Riprogrammato per domani mattina alle ore 7,00. Convocazione alle ore 5,00 in aeroporto.

Scendo dalla macchina, riporto la valigia in casa.

È quasi ora di pranzo. Vado in ufficio e invito i due miei collaboratori ad andare a mangiare. Nessun appuntamento nel pomeriggio, ce la possiamo prendere con calma.

“Oggi è mercoledì delle ceneri, inizia la quaresima” mi dice Benoît, con sguardo da penitente ma conscio di star perdendo un’occasione. Lo guardo interdetto e mi spiega che i veri cattolici fanno la quaresima: non mangiano dall’alba al tramonto. Paul, anche lui cattolico praticante, mi spiega invece che la sua quaresima è solo di venerdì: è pronto a venire a pranzo.

Provengo da una famiglia cattolica, da parte di madre. Ho fatto catechismo e seguo con interesse i dibattiti del mondo cattolico. Questa storia del digiuno in periodo di quaresima, però, non me la ricordo proprio. Mi ricordo, invece, il divieto di mangiar carne il venerdì e poi solo il “venerdì santo”; con le ineffabili battute di mio padre, al limite della blasfemia – “… spero che avrai preparato aragoste se non si può mangiare la carne!” – che riuscivano a fare irritare mia madre, nonostante il suo buon carattere.

Così come ricordo, a queste latitudini, le feste religiose come un momento di convivialità della comunità. A Natale i vicini musulmani condividevano la tavolata con i cattolici che, a loro volta, erano invitati a “rompere il digiuno” insieme, nella grande festa dell’Eid al-Fitr.

Non è più così. Le due comunità sono sempre più lontane. In alcune zone del nord del Burkina Faso sono conflittuali. La presenza di sedicenti gruppi jihadisti sta esacerbando gli animi; scontri frequenti, attentati e revanscismi di ogni natura. Addirittura, vengono attaccati frequentemente i musulmani moderati perché non rispettosi nell’applicazione dei dogmi della sharia.

Il conflitto irrigidisce le posizioni. In Burkina Faso, nei Paesi saheliani in generale, l’appartenenza viene sempre più marcata: accentuare le differenze invece che valorizzare i punti di contatto! Il rafforzamento di fenotipi comportamentali diversi è una strategia; per rafforzare il gruppo d’appartenenza nella competizione? Anche questi sono effetti della globalizzazione?

“… Pure nella convivenza religiosa, quindi, la competizione diventa un valore dominante.

Tu non mangi dall’alba al tramonto? Lo posso fare anch’io, e aggiungo il recupero delle 5 domeniche di mancato digiuno. Non sono quaranta giorni, quindi, ma quarantacinque. Sono più dei vostri!

L’estremismo delle posizioni è ormai quotidianità. Invero non si tratta di una novità. Detto poi oggi, 17 febbraio, l’anniversario dell’assassinio di Giordano Bruno!

Anche le dinamiche interreligiose si sono allineate ai valori mondiali, basati sui dogmi neoliberisti, dove la competizione è la variabile centrale dell’agire umano, in tutte le sue manifestazioni...”

Voilà i temi della discussione a pranzo con Paul, davanti ad un ottimo foutou d’igname con salsa d’arachidi, arricchita da carne di pecora molto gustosa.

“La collaborazione è più importante della competizione.”

A questa mia ultima affermazione, però, Paul reagisce con un tono di voce serioso, da convegno universitario africano, ma con un’espressione tra l’ammirazione e lo stupore: “tonton, siete rimasto alla cooperazione internazionale!”

Non ho capito bene cosa volesse dire; non ho chiesto spiegazioni. Tra me e me ho pensato che forse avesse ragione, a prescindere.

17 febbraio 2021

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